Il punto di vista dello spettacolo inglese sulla brexit
I protagonisti del settore dello Spettacolo sono contrari all'uscita dell'Inghilterra dall'Europa: 'Un enorme passo indietro'
La prospettiva di lasciare l'UE è stata variamente descritta come un "incubo", un "isolamento artistico" e un "enorme passo indietro" da parte dei protagonisti dello spettacolo inglese intervistati dal Guardian.
Le larga maggioranza degli operatori che hanno risposto ad un appello della prestigiosa testata inglese, hanno dichiarato di essere contro la Brexit sia per motivi pratici che emotivi.
Molti hanno espresso timori circa gli ostacoli alla libera circolazione delle opere e del personale artistico, nonché per la perdita di accesso ai finanziamenti dell'UE.
Alistair Spalding, direttore generale del teatro Sadler Wells di Londra, uno dei centri di creazione più internazionali del Regno Unito, ha detto di non trovare un solo vantaggio nel lasciare la UE, mentre al contrario si può fare un lungo elenco di svantaggi.
"Ci sarà l'incubo delle domande di visto e di permesso di lavoro, questo è meno complesso per i paesi dell'UE... Onestamente, non credo che la gente comune possa capire veramente che tipo di incubo questo rappresenti per il nostro settore. Lasciare l'Europa per la nostra attività, è davvero una sciagura".
John Summers, capo esecutivo della Halle Orchestra di Manchester, che annovera nelle sue fila musicisti provenienti da 14 paesi e vanta collaborazioni con molti artisti e direttori d'orchestra in vista nel territorio europeo, ha detto: "Lasciare è disastroso. L'evoluzione più importante nelle orchestre del Regno Unito nel corso degli ultimi 10 o 20 anni, è stata la qualità dei musicisti che sono arrivati da fuori. E' stato estremamente positivo".
Summers ha detto che la Brexit potrebbe significare nel lungo termine l'isolamento artistico del paese: "La musica è un linguaggio internazionale, non vi è alcuna barriera. Se dovessimo rinunciare alla libera circolazione penso che potremmo diventare una terra senza musica".
L'amministratore delegato del Barbican Sir Nicholas Kenyon, ha detto: "Il mio approccio è: siamo tutti europei. Basta guardare la quantità di co-produzioni realizzate dai vari centri, per capire che dipendiamo dalla libera circolazione dei talenti all'interno del territorio europeo".
Kenyon ha sottolineato che lasciare l'Europa non significa la fine delle partnership e delle collaborazioni - "le arti sono ingegnose, il settore troverà sempre il modo di fare le cose" - ma ha aggiunto: "Con l'uscita dall'Europa gli inglesi subiranno un enorme svantaggio in termini di possibilità di creare e distribuire i propri prodotti culturali."
Gli fa eco il direttore artistico del Southbank Centre Jude Kelly: "La cooperazione creativa sostenuta dalla UE non è riservata esclusivamente ai membri dell'UE, ma rimane un obiettivo molto più difficile per chi è al di fuori dell'UE"
Un altro argomento pratico nel dibattito è, naturalmente, il denaro. Il fondo di Europa Creativa, varato nel 2014, ha sostenuto nel Regno Unito, 228 organizzazioni culturali e creative, imprese audiovisive e cinematografiche, nonché la distribuzione di 84 film nel Regno Unito e in altri paesi europei con borse di studio per un totale di € 40 milioni (30 milioni di sterline).
Il partito del REMAIN ha spesso citato il successo delle Capitali Europee della cultura, e le trasformazioni che questo programma ha significato per le città inglesi. L'ultima città del Regno Unito che ha ottenuto il titolo è stata Liverpool nel 2008, e la prossima sarebbe stata riconosciuta nel 2023.
David Lan, direttore artistico del Young Vic, ha detto che in questi anni il Regno Unito ha avuto molto da imparare dall'Europa. "Molte delle compagnie teatrali europee sono più avanti di noi in termini di fantasia, raffinatezza, intelligenza, abilità... certamente nei termini di come si gestisce un'impresa in modo efficace".
"Non dobbiamo sempre cadere nel vecchio slogan autoreferenziale 'Noi facciamo meglio'", ha concluso.